Le storie della Storia

IL MATTO CON GLI STIVALI

Il mio romanzo sconfina nel giallo, i miei lettori lo sanno:

Non molti, però sono al corrente del fatto che gialli erano anche i piedi di Michelangelo: aveva l’abitudine di camminare con un paio di stivali orrendi, color rosa/bianco/pelle , di cane (!) che non si toglieva mai e rari erano i suoi pediluvi.

Scriveva il Condivi:

“Più volte ha dormito vestito, et con li stivaletti in gamba, quali ja sempre usati, si per cagion del granchio di che continuo ha patito, si per altri rispetti, et è stato qualche volta tanto a cavarsegli, che poi insieme con li stivaletti n’è venuta la pelle, come quella della biscia”.

E il Vasari:

“Alle gambe portò invecchiando di continuo stivali di pelle di cane sopra lo ignudo i mesi interi che, quando gli voleva cavare, poi nel tirargli ne veniva spesso la pelle”.

Alcuni gli davano del matto.

Leonardo, invece, aveva una mania assoluta della pulizia e soleva lavarsi le mani ogni volta che toccava qualcosa. Maniaco sino all’eccesso.

La cosa divertente è che negli affreschi di Palazzo Signoria, quelli che daranno luogo alla disfida del secolo, Leonardo s’inventa cavalieri luridi: fango e sangue sulle armature e sui visi; Michelangelo, invece, immagina soldati lindi e puliti, appena usciti dal bagno in Arno!

Perché a volte, bisogna andare anche oltre i biografi, che non sempre raccontano tutta la verità.

FACCE DI BRONZO

Uno dei grandi obbiettivi dei duchi di Milano era sempre stato quello di edificare una statua equestre al capostipite della casata

Sforza, il duca Francesco.

Dopo svariati tentativi e altrettanti fiaschi intentati con moltissimi degli artisti quattrocenteschi, Ludovico il Moro la commissionò finalmente, verso la fine del secolo, a Leonardo da Vinci: doveva essere enorme, in bronzo, e raffigurare un cavallo impennato con in sella il primo duca di Milano: così la progettò inizialmente il fiorentino.

Passa oggi e passa domani, l’artista si rese conto di quanto fosse ardua la realizzazione di un siffatto progetto dal punto di vista pratico: come da sua abitudine tergiversò a lungo modificando il progetto originale ed addivenendo a trasformare il “gruppo di cavallo con cavaliere in bronzo” a quello di “cavallo al trotto”.

Tra l’altro, io mi sono sempre chiesto quale fu la reazione di Ludovico il Moro, quando Leonardo gli prospettò il cambiamento di rotta. Ma come? Da sempre hanno in mente un monumento equestre per celebrare l’inclita casa sforzesca e per glorificare il capostipite e tu progetti di realizzare solo il cavallo? Mah…

Ancora dopo questa riduzione di prototipo, tuttavia, il Vinci non riusciva a gettarlo nel bronzo: troppe fessure lasciate nel bronzo dalle bave che si creavano per le sue fusioni sperimentali, troppi errori, troppe difficoltà.

Alfine Ludovico si stancò e utilizzò il bronzo messo a disposizione all’artista per farsi i cannoni da guerra e combattere i francesi.

Dopo qualche tempo, tornato a Milano, Leonardo si trovò a discutere di Dante, in mezzo ad una torma di fiorentini.

Vedendo Michelangelo che discendeva da una collina si rivolse a lui, grande esperto della “Commedia”, chiedendogli un’interpretazione sul Canto per cui s’era acceso il dibattito (già: so che può apparire strano ma un tempo gli italiani, in piazza, discutevano di Dante).

Pensando che Leonardo lo volesse prendere in giro, il Buonarroti si sdegnò, apostrofandolo malamente:

“Ma cosa vuoi discutere di Dante tu, che non sei nemmeno stato capace di gettare un elementare cavallo in bronzo per que’ capponi di Milanesi!”

Ogni volta che rivedo la statua bronzea di Leonardo, all’aeroporto di Fiumicino, non posso fare a meno di chiedermi se il buon genio di Vinci, a cui è stata dedicata proprio, ironia della sorte, una statua in bronzo, sarebbe stato capace di realizzarla e se non sia stato invece, quello che ne ha promossa la realizzazione, proprio un seguace di Michelangelo!

MIRACOLO A OGNISSANTI

Il giorno di Ognissanti dell’anno del Signore 1512, uno stuolo di cardinali, con in testa il papa Giulio II della Rovere, entrava in una Cappella Sistina che Michelangelo, dopo quattro lunghi anni di sofferenza, fatica e intuizioni geniali, aveva terminato di affrescare.

Di sottecchi, il Buonarroti guardava i prelati cercando conferma alla sua insicurezza, parole che sancissero il verdetto.

Non ce ne furono.

Le loro eminenze guardavano il soffitto a bocche spalancate, con le emozioni che traboccavano dai loro corpi, allo stesso modo di come i contorni delle figure, sopra loro, faticavano a contenere il colore debordante.

Uno di essi, chiese al pontefice se, per caso, tutti quegli ignudi non fossero d’ingiuria alla moralità.

Giulio, senza degnarlo di uno sguardo, gli rispose di non preoccuparsi per quello che sarebbe successo per gli ignudi; piuttosto, di farlo per quanto riguardasse l’arte che in quella giornata, in quel pomeriggio di un autunno appena iniziato, aveva terminato la sua ascesa.

Mai più nessuno, infatti, sarebbe riuscito a superare quell’impresa inaudita, quella meraviglia titanica, quel sovrumano lavoro.

Da allora, lo stesso concetto della genialità ha accresciuto sostanzialmente la sua portata, la sua reale accezione.

Ogni anno, ogni giorno, ogni ora, dovremmo ringraziare quest’artista irraggiungibile per come ha restituito emozioni e meraviglie al mondo.

UN’INTERVISTA IMPOSSIBILE

Due premesse
1) Il dialogo che segue, tra Michelangelo e il sottoscritto, è surreale e grottesco: in nessun modo è compreso nel romanzo, di cui non ha il medesimo tenore; ha il solo scopo di divertire e promuovere #ladisfidamancata.
2) Il titolo qui sopra è ripreso da una meravigliosa trasmissione radiofonica degli anni ’70, che opponeva un intervistatore contemporaneo ad un grande del passato. Lo scrivo per chiarezza e sincerità: a quelle trasmissioni sono debitore in quanto foriere di cultura. Quella stessa cultura che radiorai fa ancora oggi.
Buona lettura.

M. Ecco il gran figliolo di putta.

LT. Buongiorno anche a lei Michelangelo …

M. A lei chi ? Non vedo alcuna madonna, nei dintorni.

LT. A lei…a voi… scusatemi, Messer Buonarroti. Di questi tempi moderni si usa dare del lei, non del voi.

M. Siete bizzarri, un pronome femminile a un uomo ? Ma perché ?

LT. Lascerei perdere. Piuttosto, perché mi avete apostrofato in quel modo ?

M. Devo spiegarvelo ? Quel libro che avete scritto… La disfida mandata…

LT. Mancata, Buonarroti, il titolo è La disfida mancata, non mandata.

M. Siete suscettibile, messer Tempini.

LT. Uh… nessuno mi aveva mai chiamato “messere”! Che bello.
Ad ogni modo, vorrei vedere voi, se qualcuno definisse il vostro come il “Giudizio Universitario”.

M. Nessuno si è mai sbagliato, né si sbaglierà, con il mio Giudizio.

LT. Voi non avete idea di quali teste circolano per questi tempi “moderni”. Ho sentito di peggio.

M. Io sono Michelangelo Buonarroti.

LT. Già… ed in teoria siete scultore, non pittore.

M. Sì, questa è una delle cose che avete scritto correttamente, nel vostro romanzo.

LT. Eppur Tuttavia, avete passato più tempo a dipingere, che a scolpire.

M. Non credo proprio. E comunque, io scolpisco pure quando dipingo…

LT. Sì, conosco bene il concetto, basta vedere le vostre figure nella Sistina. Ma torniamo al discorso principale: perché vi lamentate con me ?

M. E lo chiedete anche ? Si vede chiaramente che parteggiate per quell’altro!

LT. Io ??? Parteggiare per…

M. Sì voi, voi. Siete addirittura… come si dice di questi tempi “moderni” ? Tifoso, ecco, sì. Siete chiaramente un tifoso di quello là, quello per cui tifano tutti, del resto.

LT. Io sono tifoso soltanto del Milan.

M. Eh ? Ma che dite ? E chi l’è codesto Milan ? Non lo conosco, sta nel campo delle arti ?
LT. Eh a suo modo sì! Comunque, quell’altro, come lo chiamate voi… è l’uomo universale.

M. Di universale, nel Rinascimento, c’è stato solo il mio “Giudizio”, non certamente quel pusillanime leccapiedi ! E voi credete a tutta la dissimulazione perpetrata nei secoli successivi che lo hanno mitizzato, donandogli un’aurea di presunta “celestialità”: l’uomo del Rinascimento. Lui che dipingeva con il pennellino ammantato nei suoi broccati su di una tavola lisciata dai suoi famigli; o che faceva scapicollare il povero Zoroastro obbligandolo a lanciarsi dalle colline con le sue ali bislacche.
Nel frattempo, io sbozzavo da solo il David e, sempre da solo, dipingevo la Sistina a “cervice diversa”, litigando con la vernice che colava negli occhi e sentendo il culo entrarmi nelle spalle per il fatto di stare sempre piegato.

LT: e ‘l pennel sopra ‘l viso tuttavia
mel fa, gocciando, un ricco pavimento.
E’ lombi entrati mi son nella peccia,
e fo del cul per contrapeso groppa

M. Conoscete i miei versi, dunque. E non li avete riportati nel libro… del resto, siete un servo del Vinci. Che, detto per inciso, gli unici versi che conosceva erano quelli degli animali. Del resto, scriveva al contrario per non fare la fatica di spostare la sinistra a destra.

LT. Questa cosa di portare a destra la sinistra l’ha fatto un altro, poco tempo fa! Si vede che è un vezzo dei fiorentini…
Comunque, suvvia Michelangelo… avete un carattere impossibile e siete insopportabile lasciatevelo dire! E’ perfettamente comprensibile che tutti parteggino per quell’altro !

M. Già. Era bravo a farsi benvolere con i suoi modi affettati! Ma io non mi faccio ingannare. Ho forse scritto giocondo in fronte ?

LT. No, la fronte della Gioconda l’ha fatta quell’altro, appunto.

M. Ma perché non vedete di andarvene un po’ a …

LT. Michelangelo ! Un timorato di Dio come voi che si lascia andare a queste trivialità !

M. Io vi prendo a calci nel deretano, fedifrago d’uno scrittore ! Ve la do io la trivialità. Mi rispettavano i papi, a me, i papi: capito !?! Non mi faccio denigrare da un presunto romanziere.

LT. Buonarroti, calma. Io ho tifato sempre per voi. Sempre. Mai nessuno mi ha dato le stesse emozioni attraverso l’arte. Voi avete spostato il concetto della bellezza più in là e avete servito gli ingredienti per la perfezione stilistica al genio di Raffaello.

M. … che se n’è impadronito, quel lurido scavezzacollo: figlio di quel cane di suo padre che sapeva a malapena disegnare.

LT. … ma siete stato voi a superare anche il Rinascimento: voi che, nella Sistina, avete “creato” Dio e spostato l’uomo al centro del mondo, rivoluzionando e destabilizzando il sistema precedente. Siete stato il primo marxista, Buonarroti.

M. Eh ? Il primo che ? E’ un improperio, una minaccia ? Che significa marxista, brutto imbrattacarte dei miei stivali ?

LT. Non vi preoccupate, ormai nessuno ne conosce più il significato. Invece, a proposito dei vostri stivali: da quanto tempo non ve li togliete e non vi lavate i piedi ?

M. Ora, me li tolgo ora, e ve li tiro addosso! Così vediamo se avete ancora il coraggio di scrivere scempiaggini.

LT. Ehm, temo che questa intervista impossibile sia terminata, Buonarroti.

M. E’ durata pure troppo.

LT. Vi saluto caramente

M Io no

IL RIGORE DI MICHELANGELO ALL’ULTIMO MINUTO

Da fan accanito del Buonarroti, per quanto mi sforzi d’essere magnanimo, questa cosa mi infastidisce proprio !

È il 1503. Il mondo intero guarda Firenze come la città in cui innumerevoli artisti si sfidano per le piazze, i palazzi e le chiese della città. Le figure che emergono sono due, è evidente. Si tratta di Leonardo da Vinci e del suddetto Michelangelo. Ma chi dei due è il migliore? La maggioranza si esprime per Leonardo, irraggiungibile.
Però, quell’altro giovincello, arrogante e spocchioso, la stoffa ce l’ha, porca miseria: il Gonfaloniere Soderini ci scommetterebbe sopra almeno un centinaio di fiorini.

Ecco allora l’idea che, tra l’altro, proietterà la città toscana ancora più al centro del mondo di quanto non sia già: Soderini organizzerà la “Scuola del mondo” una specie di finale dell’Intercontinentale dove a sfidarsi sono le migliori “squadre” del pianeta, entrambe, guarda caso, della stessa città: quella che organizza la sfida e che si compiace di sè e dei suoi meravigliosi figli, quella che, pur senza un esercito vero in mezzo a una baraonda di guerre, è rispettata e intoccabile, inviolata e ossequiata anche dalle fortissime potenze straniere.

Il gonfaloniere li convoca a Palazzo Signoria, entrambi. Fa loro un discorso di questo tipo:

“Dipingerete a gara qui, su muri limitrofi della Sala dei Cinquecento, due episodi a vostra scelta che avranno come tema l’esaltazione della Repubblica Fiorentina. Dai vostri lavori si dedurrà a chi spetti, di voi, la fama di migliore artista del mondo. Leonardo, più anziano, avrà il privilegio di iniziare per primo”.

Il Vinci mette in atto tutta la sua abilità; la composizione pittorica appare sin da subito grandiosa: un animoso intreccio di cavalieri e di armi in cruento conflitto che ripercorrono un famoso episodio dell’epica fiorentina, “La Battaglia di Anghiari”. Però, accidenti: Leonardo non sa affrescare. Usa l’encausto, antica tecnica romana, ma i suoi assistenti non sono abilissimi. A metà lavoro, i fuochi sono troppo distanti dalla parete, non scaldano a sufficienza e la tempera cola giù, dall’alto verso il basso. Il lavoro è perduto. L’artista si vergogna del colossale fiasco e se ne va, lasciando l’opera incompiuta e rovinata lì, sui muri gloriosi del sacro palazzo.

Leonardo è l’idolo di casa. Elegante, spiritoso, estroverso. Fiorentino, insomma. Tipicamente fiorentino.

Ha fallito, però.

Ed ora tocca a quell’altro. Ombroso, antipatico, attaccabrighe. Tipicamente fiorentino, insomma.

Nell’aria circola un presagio grave.

Michelangelo non può vincere. E’ giovane e irruente, troppo. E poi Leonardo è l’artista per eccellenza, anzi è il genio, il prototipo dell’uomo rinascimentale: il futuro lo ha già eletto come tale. Nessuno ne scalfisca il prestigio.

Il genio universale è Leonardo. Punto. E basta.

Però, il ragazzo di Caprese ha realizzato dei cartoni eccezionali. Dipingerà “la battaglia di Cascina”, lui. Ma i suoi disegni non mostrano scontri di uomini impegnati in battaglia. Troppo banale, troppo superficiale. Per lui è invece da indagare l’attimo eterno, l’espressione dei soldati fiorentini sorpresi nel momento del bagno dall’esercito pisano; il loro affannarsi ad uscire dall’Arno, la fretta di rivestirsi, l’anatomia esaltata dal tratto. Un’idea, grandiosa, rivoluzionaria, quotidiana e nello stesso tempo straordinaria. I cartoni lasciano tutti senza parole. Vincerà, senza dubbio: E’ l’ultimo minuto della contesa. Apollo, patrono delle arti, arbitro della disfida, ha fischiato il rigore per Michelangelo e lui si è già voltato per prendere la rincorsa.

Il mito di Leonardo verrà distrutto e l’uomo universale sarà un epiteto proprio di Michelangelo.

Alé. Io non sono ancora nato, ma da qualche parte di sicuro esulto.

Giustizia è fatta. Il genio è l’uomo della Pietà, del David, del Mosè, della Sistina, della Cupola di S. Pietro, è evidente. Nessun altro può essere chiamato “prototipo dell’uomo rinascimentale” se non lui.

Invece accade l’imponderabile.

Il Buonarroti non inizia, né oggi, né domani, né mai. Niente rincorsa. Michelangelo si avvicina al pallone, lo raccoglie e, insieme ai cartoni, se ne va via. Il rigore a porta vuota non lo tirerà. Rinuncia inspiegabilmente al trionfo, ai coriandoli, al bagno di folla.

E così, ancora oggi, la conclamata accezione di genio universale, di prototipo del Rinascimento è propria di Leonardo da Vinci.

Chissà se un giorno sapremo mai cosa accadde, in quell’anno del Signore 1503 in cui il diavolo forse, ci mise lo zampino. Io una spiegazione la fornisco: andate a leggere “La disfida Mancata”!